La salita di Mariuccia Hoffer sul Monte Bianco
Vi lasciamo qui sotto il racconto di una nostra socia storica, Mariuccia Hoffer, che 50 anni fa ĆØ salita sul Monte Bianco con altri soci del CAI di Calolziocorte.
50 ANNI
Un periodo di tempo lungo: una persona nasce, cresce, mette al mondo figli e li vede crescere a sua volta. Eppureā¦
… MI SEMBRA IERIā¦
Agosto 1972, Courmayeur, Val Ferret, campeggio del C.A.I. di Calolzio a Planpincieux.
A me è sempre piaciuto camminare in montagna: sono salita per la prima volta in Grignetta a 13 anni con mia sorella, suo marito e i loro amici più grandi di me; poi con il G.E.V. Lumaca di Vercurago e con loro ho cominciato a frequentare altre montagne anche fuori dalla nostra zona: Gran Paradiso, Monte Rosa, Pizzo Cassandra e altre escursioni varie.
Poi, grazie alla conoscenza di ragazze che lavoravano alla Printex, dove da poco avevo cominciato a lavorare anchāio, che frequentavano giĆ il C.A.I. di Calolzio e avevano fratelli alpinisti esperti:
Mariuccia, sorella di Giacomo Ghislandi, Enrica sorella di Giuseppe Fumagalli e altre persone che andavano in montagna con loro, anchāio ho osato avvicinarmi al Gruppo dei Famosi (come chiamavamo noi, semplici escursionisti, gli alpinisti del C.A.I.).
Frequentando la sede ho cominciato a conoscere un poā tutti e qualcuno ha cominciato a chiedermi di partecipare alle loro escursioni, soprattutto Giovanni Balossi con cui camminavo bene, quasi con lo stesso passo, e che ha cominciato a portarmi anche a fare gite abbastanza impegnative: le creste del Resegone, la Cresta Segantini con la traversata alta e la vetta del Grignone, il Resegone in inverno e altre camminate.
E cosƬ nei primi anni 70 ho partecipato anchāio al campeggio estivo.
Dicevo, agosto 1972.
Alcuni soci presenti al campeggio pensano di salire il Monte Bianco dalla via normale del versante francese. Giovanni, che ormai sapeva bene come camminavo, mi chiede se mi sarebbe piaciuto andare con loro. Al momento mi sono sentita terrorizzata allāidea: ā AL BIANCO?ā
Però poi mi sono sentita lusingata dalla fiducia accordatami, anche se qualcuno diceva che forse sarebbe stato meglio di no, che ero una ragazza, eccā¦
Sta di fatto che partiamo per Saint Gervais col trenino, poi il rifugio de Tete Rousse, rifugio de Nid dāAigle e infine si inizia la salita verso il rifugio Gouter.
Fin qui mi sembrava quasi tutto troppo facile fino a quando arriviamo ad un canale da attraversare; ci leghiamo e mi rendo conto che forse la situazione è più seria del previsto perché mi dicono che dobbiamo passare il canale uno per volta per evitare eventuali scariche di sassi.
Qualche dubbio mi assale: āCe la farò? Sarò di impaccio agli altri? Ma ormai!!ā
Poi, ingenuamente: āTanto il rifugio ĆØ lassù, si vede!ā. Ma si vede, si vede, si vede e non arriva mai!

Dopo più di 4 ore di salita finalmente siamo al rif. Gouter. Pieno come un uovo, posti letto in terra in sala da pranzo con dotazione di una coperta a testa e qui, con Claudio, decidiamo di metterne una in terra come finto materasso e di usare lāaltra proprio come coperta. Ci sembrava la soluzione migliore, salvo poi renderci conto che la coperta ĆØ troppo piccola e copre o lāuno o lāaltro e a 3.800 metri di quota non ĆØ certo il massimo. Io, sarĆ perchĆ© sono stanca o solo per fortuna, riesco comunque a dormire un poā, con le proteste di Claudio che invece non ĆØ riuscito a chiudere occhio. Mi spiace per lui, ma⦠pazienza!! Io avevo dormito!!
Non racconto troppo dellāavventura del bagno, argomento delicato per le donne: ĆØ allāesterno, quasi allāaperto, a sbalzo sul ghiacciaio e, oltrettutto, non essendoci altre donne, ho dovuto rompere la tradizione che ci vede al bagno in due per volta e andarci da sola. Eā stata unāesperienza abbastanza inquietante, soprattutto la sera al buio.
Il mattino dopo, sveglia allāalba, colazione veloce e partenza per gli ultimi 1000 metri di dislivello in salita per raggiungere la vetta. Non ricordo nulla di particolarmente importante se non il fiatone, ma vedere che anche gli altri fanno fatica, mi consola.
Si cammina in cresta e la poco rassicurante raccomandazione dei miei compagni educatori ĆØ:
āSe qualcuno dei tuoi amici legati con te cadesse a sinistra della cresta, tu buttati a destra.ā
Non ho mai pregato tanto perchƩ nessuno scivolasse!
Dopo un paio dāore circa (credo, non ricordo più molto bene) arrriviamo in vista della capanna Vallot. Non ci fermiamo e procediamo verso gli ultimi 400 metri di salita. Dietro e davanti a noi decine di alpinisti incolonnati cercano, come noi sbuffando, di arrivare in cima.
Incrociamo altri alpinisti che raggiungevano la cima dal versante italiano, dal rif. Gonella.
Finalmente davanti a noi non vediamo più salita, ma il pianoro delle cime: la francese un poco più bassa e lāitaliana appena più su.

Siamo in cima al Monte Bianco e non me ne rendo conto. Guardo con meraviglia quello che ci circonda, a 360°. Ringrazio Padre Eterno che ci ha REGALATO queste meraviglie e ringrazio gli amici che mi hanno aiutato a goderne.
Dopo la sosta canonica, scendiamo. Arrivati alla Capanna Vallot, ci fermiamo a vedere: delusione estrema perchĆ© la troviamo freddissima, più fredda dellāesterno, sporca e non certo invitante per una sosta ristoratrice. Allora ripatiamo e torniamo senza particolari difficoltĆ al Gouter e poi in discesa fino al trenino e al campeggio in Val Ferret.
Con me cāerano: Giovanni Balossi, Claudio Ferrari, Antonio Svanetti, Piero Tavola e G.Luigi Valsecchi (Bigio).
Di nuovo GRAZIE a tutti.
E un pensiero affettuoso a chi oramai le meraviglie del creato le può godere per sempre.
Questo 50 ANNI FA, ma mi sembra proprio ieri!
Mariuccia Hoffer